Poichè tra i regali di Natale avevo acquistato lo stampo in silicone, ho voluto finalmente provarlo e per l'occasione ho scelto la ricetta dei muffins ricotta e limone
Li ho poi decorati con una glassa di zucchero a velo e succo di limone e cosparsi di zucchero e cacao
e infine un chicco di caffè ricoperto di cioccolato.
Per chi volesse provarli ecco la ricetta scaricata da FB
INGREDIENTI
250 g. di
farina
125 g. di zucchero
70 g. di burro fuso
100
g. di ricotta
70 g. di latte
il succo di un
limone
mezza bustina di lievito per dolci
2 uova
PER
LA GLASSA/SCIROPPO
il succo di un limone
zucchero a
velo
acqua
Mettete in una ciotola la farina;aggiungete
lo zucchero e il lievito.
Unite le 2 uova,il burro fuso e
freddo,il latte e la ricotta,quindi mescolate. Da ultimo aggiungete
il succo di limone.
Versate l'impasto a cucchiaiate,negli
stampini per muffins e cuocete a 180° in forno preriscaldato per 12
minuti.
Per la glassa,mischiate il succo del limone con un po’
di zucchero a velo e aggiungete acqua sufficiente ad ottenere una
crema morbida e spalmabile semitrasparente.
Glassate i
muffins: la glassa sciroppo penetrerà nei muffins lasciando uno
strato croccante e trasparente. Spolverate di zucchero a velo.
Il 27 gennaio 1901 moriva a Milano il grande compositore italiano Giuseppe Verdi, nato a Le Roncole di Busseto il 10 ottobre 1813, pertanto si celebra quest'anno il bicentenario della nascita.
qui il 27 gennaio 2012 ho parlato dei funerali che la città di Milano dedicò al Maestro, ora vorrei descrivere per immagini il doveroso "omaggio" che Pippo gli ha tributato in quel di Busseto dove lui dice di ricaricarsi nel luogo in cui tutto parla di Verdi e dove i ritmi di vita sono piacevolmente rallentati.
Siamo partiti da casa verso le 11 di sabato, ad una distanza di 25 Km, siamo arrivati in meno di mezz'ora.
Naturalmente non è la prima volta che ci rechiamo a Busseto, ma questa volta ci siamo un po' allontanati dal centro
per vedere Villa Pallavicino (Museo Verdiano) e la Chiesa di S. Maria degli Angeli.
Villa Pallavicino
lo scenografico ingresso
un angolo romantico del parco
la facciata della Villa Pallavicino che ospita il Museo Giuseppe Verdi
la facciata della chiesa tardogotica di S. Maria degli Angeli (1470/1474)
all'interno il gruppo in terracotta policroma del Compianto sul Cristo Morto di Guido Mazzoni (1476/1477). Le due figure maschili ai lati sarebbero i ritratti dei due figli di Pallavicino, marchesi di Busseto, fondatori del Convento di S. Maria degli Angeli.
forse non è fine ma andando in ordine cronologico, alle 12.30 sostiamo alla pizzOsteria Orlandi di via Roma e gustiamo degli eccezionali "pisarei e fasò"
Palazzo Barezzi dove si può vedere il Salone della Filarmonica Bussetana.
siamo di nuovo in piazza Verdi dove affaccia la Collegiata di S. Bartolomeo
la Rocca Pallavicino - Municipio e il monumento al "Cigno" di Busseto.
Prima delle 15 siamo di nuovo a casa, soddisfatti e con la mente leggera.
ne avevamo parlato l'ultima volta forse la scorsa estate, si tratta sempre della coppia originale e dei tre figli nati nella primavera scorsa.
Fortunatamente di indole tranquilla solo raramente sorgono motivi di litigio in gabbia nonostante siano tre maschi e due femmine, tanto che finora hanno vissuto tutti insieme.
si avvicina però il periodo in cui i canarini cominciano a costruire il nido e già le prime avvisaglie ci sono, molto probabilmente bisognerà prepararsi a formare le coppie e predisporre le gabbie per le nuove cove.
tutto avviene sotto l'occhio vigile della coppia di tortore che ormai abbiamo stabilmente adottato.
La sveglia è molto prima del previsto a 20' alle
6.00; ci prepariamo in fretta, ma perdiamo moltissimo tempo ad
aspettare la colazione e alla fine mangiamo il pane imburrato con le
mani sul pullman. Siamo una comitiva di 35 persone di cui solo 4
italiane, di fianco a noi c’è una giovane coppia di Marsiglia,
davanti una signora e una signorina di Massa. Ripercorriamo la
stessa strada di ieri ripassando per Enfideville mentre si sta
svolgendo un animato mercato. La guida, la stessa del giorno
precedente, ci dà alcune notizie di carattere economico e
geografico: 1/5 delle terre tunisine sono incolte ci sono 1300 km di
litorale e la temperatura estiva raggiunge anche i 35°. Tutti i
territori sono privati in quanto dopo la nazionalizzazione del ’56
sono stati restituiti agli antichi proprietari; lo stato ne appalta
la coltivazione. Mano a mano che si procede ci capita di vedere
coltivazioni di ulivi e di fichi d’India, spesso notiamo
agglomerati di case tutte uguali, basse, costruite dallo Stato e
destinate ai nomadi, i quali però si rifiutano di abitarle
preferendo la solita vita che conducono da secoli. Spesso vediamo
villaggi di berberi e tende di nomadi seminascoste nei terreni
stepposi; ogni tanto il pullman si arresta o frena bruscamente per
evitare greggi di pecore o cammelli. La nostra guida continua a
darci notizie di vario genere; ci dice che la lingua ufficiale è
l’arabo: una fra le più difficili (45.000 voci contro le 20 –
25.000 delle lingue europee) e ce ne dà un saggio scrivendo i nostri
nomi procedendo da destra verso sinistra; l’arabo viene studiato a
scuola per ben 13 anni e così pure viene studiato il francese (molto
letterale però), il tunisino è invece una sorta di dialetto che
risente di varie influenze anche andaluse, turche e berbere, ma non
arabe. Fra la popolazione si annoverano circa 30.000 nomadi, che
vivono in agglomerati, costituiti da beduini di origine araba,
montanari e berberi, dagli abiti colorati. Le donne berbere non
portano velo e sono tatuate sulla fronte e sulle mani, così pure gli
uomini. Il tatuaggio fatto col coltello, indicava la tribù di
appartenenza e si usava per le donne come segno di riconoscimento
quando si recavano alla fonte. Ora non è più necessario ma l’usanza
è rimasta e le donne continuano a farsi tatuare, tranne poi spendere
capitali per eliminare il tatuaggio. Ci fermiamo ad un motel per
ristorarci ma i 10 minuti di sosta sono solo sufficienti per la coda
al gabinetto e non mi rimane tempo per prendere qualcosa. Si
riprende il viaggio fra distese di steppa incolta e di nessuno, dove
affiora uno strato biancastro di sale; qui è il regno di animali
quali: gazzelle, iene, sciacalli, serpenti, scorpioni. Passiamo la
città di Gafsa, città berbera con i suoi minareti che portano tutti
sulla cima i 3 simboli: acqua, farina, sale, con cui si fa il pane,
ad indicare l’ospitalità tunisina. Ormai ci stiamo addentrando
sempre più nel deserto, la strada si fa molto polverosa; abbiamo
occasione di attraversare 2 o 3 grandi letti di torrenti
completamente asciutti. Fiancheggiamo un grosso centro per lo
sfruttamento di miniere di fosfati, oggetto di importante
esportazione. Verso le 13 arriviamo a Tozeur, una ricchissima oasi
artificiale, divenuta anche centro turistico di notevole importanza,
poiché tutti gli europei hanno qui l’incontro con l’Africa del
deserto.
Alle
13.30 siamo nella sala da pranzo dell’hotel Continental mentre il
nostro bagaglio è ancora nella hall. Con noi ci sono le altre due
italiane. Beviamo vino bianco, mentre assaporiamo il menù che si
rivela non molto buono: con insalata russa senza
maionese, carne molto dura (1 guida, purtroppo non la nostra mi dice
essere di cammello) con patate lesse e fondi di carciofi e
datteri. Con una velocità supersonica impostaci da quel pazzo
furioso che è la nostra guida alle 14.30 ci ritroviamo di nuovo sul
pullman. Mentre stiamo per ripartire alcuni venditori rifilano ad
alcuni turisti i tipici copricapi bianchi arabi e li montano in testa
in 4 e quattr’otto per 1 dinaro. Siamo diretti a Nefta, una
delle più belle oasi del Nord Africa ricca di 220.000 palme da
datteri.Tutte
le oasi sono artificiali,
alcune molto vaste, altre meno, sorgono quando l’uomo scoperta la
sorgente, vi pianta i palmizi tutt’attorno. Ci stiamo inoltrando
nel deserto, la strada è polverosa più che mai, da una parte e
dall’altra solo distesa di sabbia interrotta da ciuffi di fiori
lilla; spesso all’orizzonte si vedono le belle sagome dei dromedari
e dei cammelli. Ad un certo punto la guida ci invita a togliere le
scarpe (io e A. ci rifiutiamo), dobbiamo infatti addentrarci un po’
nel deserto; scendiamo leggermente dal livello della strada e
all’orizzonte abbiamo la fortuna di vedere un miraggio, (uno
specchio d’acqua azzurro che in realtà non esiste, ma non sono
molto sicura che non esista). All’arrivo a Nefta (24 km. da
Tozeur) siamo accolti dagli ultimi suoni di una danza ormai finita; i
beduini, artisti locali, ormai si stanno cambiando. Da un punto
particolarmente panoramico osserviamo l’oasi irrigata da ben 152
sorgenti; è una distesa bellissima di verdi palmizi degradanti che
contrastano con l’azzurro intenso del cielo e il caldo colore
dorato del terreno e delle colline circostanti. Sulla via del
rientro a Tozeur ci imbattiamo in un rumoroso e colorato corteo
nuziale dove manca però la sposa ancora in casa.
A
Tozeur, prima del rientro definitivo in albergo ci aspetta una nuova,
emozionante avventura: cavalchiamo il cammello. Mentre ancora sto
decidendo se è il caso di salire in groppa o no, uno dei cammellieri
mi invita imperiosamente a salire e nel giro di un secondo mi ritrovo
sul cammello; dopo l’attimo crucialissimo in cui l’animale si
alza prima sulle zampe anteriori, e mi sento sbalzar via, poi
posteriori, sono estremamente imponente dall’alto dei miei 2,50 m.
d’altezza e molto tranquilla, solo un po’ stupita di esser
completamente nelle mani di un piccolissimo ragazzo che guida il mio
chiaro e lanoso animale. L’itinerario è bellissimo; un favoloso
sentiero fra alti palmizi all’ora fresca del tramonto; il movimento
cadenzato del cammello (prima le zampe sinistre poi le destre) è
molto rilassante, a parte il mal di sedere, e la carovana che
formiamo, molto numerosa, è molto piacevole a vedersi (io poi occupo
sempre le primissime posizioni). Dopo circa mezz’ora
raggiungiamo il Belvedere da cui la vista spazia magnifica sulle
palme, sulle colline e su Tozeur, sotto di noi ci sono i cammelli
accovacciati e dietro, un tramonto favoloso, africano. Ci mettiamo
in cammino l’aria è più fresca, il tramonto alle mie spalle mi
assorbe completamente, sto vivendo un’esperienza favolosa, solo
interrotta dalle frasi di interessamento dei ragazzi locali che mi si
rivolgono in francese (comment ça va!). L’atmosfera magica
viene però rotta dal mio piccolo cammelliere che mi ordina:
“Donne-moi quelque chose”; ignorando i miei propositi gli lascio
200 mill e con A. faccio ritorno in albergo. Rapido ristoro in
camera e cena non molto soddisfacente con consommé di primo. Dopo
cena ci concediamo un po’ di riposo al bar dell’albergo.
Chiediamo il tè alla menta, ma non c’è, ci accontentiamo di un
caffè lungo, lungo. Qui incontriamo una giovane guida del posto
che ci invita a vedere un locale caratteristico dove si può sentire
musica tunisina ed eventualmente ballare. Io sarei molto stanca,
la ns/ giornata non è stata certo molto riposante, ma cedo alle
insistenze, a noi si aggrega un altro ragazzo. Il bar è
caratteristico e annesso vi è un bazar dove A. fa qualche
acquisto. La musica è molto piacevole e molti turisti
italiani la applaudono, solo mi fa molto ridere vedere gli uomini,
fra cui anche i nostri accompagnatori, che ballano sculettando senza
ritegno. Mentre A. assaggia uno strano intruglio di albume, menta
e acquavite e non perde tempo con la guida, io, con l’insegnante di
francese, ragazzo abbastanza interessante e promesso sposo a
settembre, vado a comprare all’alba delle 22.30 una rosa del
deserto. Alle 23.30 riaccompagnate da questi due simpatici ragazzi
tunisini rientriamo in albergo e per quanto mi riguarda sono
completamente imbastita.
Nato
a Siracusa verso il 320 e figlio del prefetto della città, venne
mandato a Roma per completare gli studì. A Roma si convertì al
cristianesimo e fu battezzato. Richiamato dal padre evitò di
rientrare nella sua città e si rifugiò a Ravenna dove divenne
sacerdote.
Nel 373 a seguito di un evento soprannaturale,
succedette al vescovo di Lodi, dove, insediatosi, fece costruire una
chiesa dedicata ai SS. Apostoli consacrata nel 380 alla
presenza di S. Ambrogio e S. Felice di Como. Successivamente la
chiesa sarà dedicata a S. Bassiano.
Nel 397 assisté alla
morte e ai funerali di S. Ambrogio di cui fu amico. Morì nel 409 e
fu sepolto nella sua cattedrale. Dal 1158 al 1163 le sue reliquie
furono portate a Milano in coincidenza con la distruzione di Lodi da
parte dei Milanesi; nel 1163 ritornarono nella sistemazione
originaria grazie all'aiuto offerto ai Lodigiani dall'Imperatore
Federico Barbarossa.
dal web
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La
distruzione di Lodi del 1158 provoca l'allontanamento di parte di
cittadini che si stabiliscono nel territorio cremonese essendo
Cremona fedele all'imperatore e alleata contro Milano. E così si
spiega la dedicazione a S. Bassiano della parrocchiale di
Pizzighettone, borgo murato sull'Adda, nelle vicinanze del lodigiano
e la chiesa di San Bassano a Cremona già esistente nel XII secolo.
Morì nel 1886 a soli 51 anni a Milano; era nato in provincia di Cremona a Paderno che successivamente prese il nome di Paderno Ponchielli, il 31 agosto 1834 da una famiglia modesta.
Ponchielli
è universalmente conosciuto solo per la sua opera più famosa, La
Gioconda, ma compose per 30 anni esatti dai Promessi Sposi del 1856
fino ai Mori di Valenza, incompiuta, rappresentata a Montecarlo nel
1914.
Il Coro Lirico Ponchielli - Vertova proprio per onorare il grande compositore cremonese ha recentemente effettuato le registrazioni delle opere "I Mori di Valenza" e "Il Figliol Prodigo".
è il titolo di una mostra fotografica che ho visitato oggi
dal web
e che ha come sottotitolo "percorsi e suggestioni nell'arte cremonese"; allestita presso la galleria Il Triangolo di Cremona, iniziativa realizzata in concomitanza dell'evento "Cremona per l'Unesco".
Erano presenti l'autore delle fotografie Pietro Diotti e il maestro liutaio Riccardo Bergonzi; il primo ha illustrato il lavoro di scelta dei particolari fotografati e gli artifici usati per riprendere i soggetti delle volte e delle opere conservate nel Museo Civico Ala Ponzone, nelle chiese di S. Sigismondo, Sant'Abbondio e San Pietro al Po.
Bergonzi si è occupato degli strumenti musicali ed in particolare dei violini e della evoluzione nel tempo della tecnica di costruzione.
Il violino sarebbe di origine araba e le "C"antesignane delle "effe" rappresenterebbero la mezzaluna.
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Del quadro del Rinaldi (1896), conservato al Museo, che rappresenta la bottega di Antonio Stradivari, il fotografo con una serie di particolari ha reso prezioso omaggio alla liuteria cremonese creando un collage che esalta il dipinto originale ed evidenzia aspetti che difficilmente vengono colti. Particolarmente pregevole la rappresentazione della facciata della demolita chiesa di San Domenico che si vede dalla finestra della bottega.
Ilario, nasce a
Poitiers in Aquitania, Francia, attorno al 315 da nobile famiglia
pagana. Egli volendo ricercare il senso della vita dapprima si dedicò
alla dottrina filosofica neoplatonica e successivamente si convertì al
cristianesimo avendo trovato nella Bibbia e in particolare nel Vangelo
di Giovanni ciò che andava cercando.
Sposato e padre di una figlia, Abra, subito dopo il battesimo fu fatto
Vescovo della sua città e con il suo esempio favorì la conversione di S.
Martino di Tours che abbandonò l'esercito imperiale.
Combattè l'eresia ariana e sostenne il credo niceno nelle sue opere fra
le quali il capolavoro in dodici libri "De Trinitate" scritte in
particolare durante l'esilio in Frigia cui fu condannato per 6 anni da
Costanzo, figlio di Costantino.
Egli per 2 anni combattè l'arianesimo anche in Italia assieme a S.
Eusebio di Vercelli. Tornato in Francia dedicò gli ultimi anni della sua
vita agli studi prediletti e al commento dei salmi. Morì il primo
novembre 367. Le reliquie vennero bruciate dagli Ugonotti nel 1562. Il
papa Pio IX lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1851.
S. Ilario
a Cremona
dal web
Di una chiesa
dedicata a S. Ilario si hanno notizie fin dal 1137 quando il vescovo
Oberto donò dei terreni nella "città nova", all'esterno delle mura
romane, allo scopo di edificare una chiesa e la dedicazione a S. Ilario,
definito "il martello degli eretici" sta a significare la volontà del
Vescovo di difendere l'ortodossia della Chiesa in questa parte marginale
della città.
L'edificio medievale era orientato secondo la consuetudine con la
facciata rivolta a ponente; nel 1714 un benefattore, Francesco Ferrari,
lasciò tutti i suoi bene per la ricostruzione della chiesa secondo lo
stile del tempo; sicchè è l'unica chiesa in città di stile barocchetto
teresiano, ma la costruzione si interruppe nel 1766 e la chiesa,
orientata in senso opposto alla primitiva, presenta tuttora la
facciata incompleta.
Nel 1805 con la soppressione napoleonica di varie chiese limitrofe si
ha la costituzione della nuova parrocchia, mentre nel 1867 vi è la
ridedicazione della chiesa ai Santi Apollinare ed Ilario anche se per i
cremonesi è tuttora la chiesa di S. Ilario.
Mi sveglio di buon mattino a
causa del caldo e del terribile rumore del condizionatore, ma non oso
alzarmi per non disturbare A.
La giornata è splendida e posso starmene tranquillamente sul balcone a
scrivere una lettera (per usare la carta intestata dell’albergo) a casa.
Colazione di buon’ora a base di tè, burro, marmellata di albicocche,
casalinga e spessa, pane e fetta di torta.
Dopo lunga attesa dell’animatrice locale, decidiamo di iscriverci
all’escursione di Kairouan nel pomeriggio, a quella nelle oasi, che ci
sta molto a cuore, per il giorno seguente e ad una terza che ha come
meta Tunisi.
Alle 10 passate cominciamo una ricognizione dell’albergo. In una
bellissima posizione, proprio sul mare, sorge in mezzo a palme,
aranceti, carichi di frutta; qui si possono vedere alberi da frutta e
fiori fra cui grandi stelle di Natale fiorite.
Aggiriamo la piscina e il solarium e scendiamo in spiaggia. Cominciamo a
camminare lungo un mare bellissimo e calmo in direzione della
cittadella di Hammamet.
Percorrono la spiaggia
anche cammelli, somari e cavalli; il sole è molto caldo, qualcuno,
audace, è in costume.
Ad un tratto una scena mi colpisce molto: ci si avvicina un bimbetto con
un’arancia in mano; ce la vuole offrire a tutti i costi. A. finisce per
prenderla ed è allora che il piccolo pretende soldi tunisini, ma noi
non ne abbiamo perché dobbiamo ancora cambiare; dapprima rifiuta le 100
lit perché vuole 100 milles tunisini poi si “accontenta “ di 200 lit, ma
A. preferisce restituire il frutto.
Il litorale è piuttosto bello e molto lungo, lo delimita una fascia
verde di palmizi da cui spiccano numerose costruzioni candide che
ospitano modernissimi alberghi; all’estremità c’è il limite della Medina
di Hammamet.
Prima di rientrare due ragazzini, play boys in erba, cercano di attaccar
bottone rivolgendoci mille frasi in altrettante lingue.
Pranzo verso le 12.15, causa prossima partenza. Al nostro tavolo si è
aggiunta la sesta (sic!!!!) donna: l’accompagnatrice del nostro gruppo.
Pranzo: beviamo ottimo vino bianco!
I il dito di Fatima (ripieno di carne trita rivestito di pasta sfoglia)
II pollo condito con olio vergine e dal sapore strano, con patate.
III Patisserie pyramide (fetta di torta con copertura di cioccolato).
Ore 13.30 partenza per
Kairouan, noi arriviamo in ritardo al pullman e per un pelo non ci
lasciano giù. La guida locale ci dà alcune notizie sulla città che
stiamo per vedere. La nostra guida non conosce l’italiano ed allora un
volonteroso compatriota gli fa da interprete.
Kairouan è l’antica capitale tunisina ed è la IV
città mussulmana dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme. La città conta
più di 100 moschee molte delle quali ormai usate solo come scuole
coraniche per giovani e come sedi di università; si trova proprio al
centro della zona stepposa.
Ci vengono date alcune
notizie molto interessanti sulla religione musulmana.
La strada che percorriamo è fiancheggiata da una fila continua di fichi
d’India, alcuni dei quali piantati da poco. Passiamo da Enfideville,
città costruita per i coloni francesi e italiani con una chiesa
cattolica ora sconsacrata e sede di museo. I campi a volte sono seminati
di recente, più spesso sono incolti, di frequente capita di vedere
greggi di pecore con giovani pastorelli e uomini coi loro mantelli scuri
a dorso di mulo.
Arriviamo a Kairouan, antica capitale, circondata da mura bizantine nel
cuore della steppa tunisina; c’è un’aria abbastanza freddina. Ci
incamminiamo verso le vie interne per vedere la Moschea grande.
Prima di entrare la guida indossa il caratteristico mantello in lana
bianca; gli chiediamo se lo fa perché sta per entrare in una moschea, ci
risponde semplicemente che lo indossa perché fa freddino; ne deduco che
questo mantello sostituisce il cappotto europeo.
Entriamo nel vasto cortile della moschea. Soltanto dall’esterno possiamo
vedere la grande sala di preghiera, ricca di bei tappeti e l’alto e bel
Minareto; infatti condizione perché esista una moschea è che ci sia:
il Minareto
la sala di preghiera
i lavabi per le abluzioni.
Successivamente diamo
un’occhiata al cimitero arabo con le tombe bianche tutte uguali e senza
fiori ed entriamo nella Medina; ne percorriamo, sole, la strada
principale, frequentatissima di gente travestita al solito modo che ci
fa abbastanza tremare.
I vari bazar straripano di souvenirs per i turisti e accanto ad essi ci
sono le botteghine piccolissime del macellaio con i pochi pezzi di carne
in bella vista e la bilancia a 2 piatti antidiluviana, il
fruttivendolo, il ciabattino ecc.
Entriamo in un negozio dove ci mostrano la lavorazione dei famosi
tappeti di Kairouan dai disegni classici e di nuovo torniamo al pullman.
Sosta davanti ad un mausoleo dei martiri di guerra che mi piace molto,
forse perché illuminato dal sole, e alla Moschea del Barbiere eretta nel
luogo ove sorgeva la tomba dell’amico di Maometto che ne conservava 3
peli della barba. Di non molto grandi dimensioni, si tratta di un
piccolo gioiello. Per entrare nel bel cortile si passa attraverso un
ingresso ornato di ceramiche e con la cupola ricca di fregi in stile
arabo-andaluso. Alcuni presenti richiamano l’analogia con l’Alhambra di
Granada.
Anche il cortile è ornato con le meravigliose ceramiche di Nabeul,
ex-voto delle ragazze locali.
L’ingresso alla sala di preghiera è vietato in Tunisia; vediamo
dall’esterno donne sedute (le scarpe sono fuori); in una nicchia sede
della tomba di un santone locale, 2 donne vestite di bianco, sedute,
meditano e una di esse contemporaneamente al vederci, se la ride sotto
il velo.
La visita alla città è finita, nell’allontanarci vediamo i bacini (130
nei dintorni) per l’irrigazione di questa città che conta 90.000
abitanti.
Dal pullman assistiamo ad un favoloso tramonto africano e a 2 migrazioni
di anitre selvagge in grande e strabiliante formazione.
Costeggiamo uno “Sciott”, lago salato, ripassiamo per Enfideville e
verso le 7 siamo in albergo. Ceniamo scegliendo le specialità tunisine
che ci propone il menù, prendiamo il caffè (molto lungo) al bar e ci
ritiriamo abbastanza presto nella nostra camera accogliente: l’indomani
ci aspetta una levataccia.
Etimologia: vecchio, inteso come esperto, saggio dal
longobardo.
Di S. Aldo, pur
essendo assai popolare nell'Italia settentrionale, non si conosce la
data di nascita o l'epoca in cui visse, presumibilmente attorno all'VIII
secolo, ma secondo la tradizione fu eremita e carbonaio nei pressi
della città di Pavia.
L'origine longobarda del suo nome fa supporre che anch'egli fosse
longobardo, considerato anche che la città di Pavia dove se ne conserva
la memoria, fu capitale longobarda. Egli giunse forse al seguito di S.
Colombano, irlandese, fondatore del Monastero di Bobbio e ne seguì
la regola che prevedeva un'alternanza di ore dedicate alla preghiera e
altre al lavoro che nel caso di S. Aldo fu quello del carbonaio.
Alla morte fu sepolto a Pavia nella cappella di S. Colombanoprima e
successivamente in S. Michele.
Auguri a tutti quelli che
si chiamano Aldo, Alda, Aldino e Aldina.
Oggi ricorre il 2° anniversario del mio blog dedicato al tombolo e ad altre attività manuali; in questi due anni ho conosciuto tantissime appassionate di merletto e di lavori femminili e ho avuto occasione di stringere amicizie che da virtuali sono divenute effettive.
Tante persone mi seguono al punto che presto arriverà il traguardo del considerevole numero di centomila visite.
Ringrazio di vero cuore tutti per l' affettuoso seguito che per me è un incentivo a continuare a ricercare, migliorare e attuare nuovi progetti e nuovi lavori.
Grazie e lunga vita al blog del tombolo!
domenica 6 gennaio 2013
Una
befana inaspettata
Nella nostra zona è Santa
Lucia la portatrice dei doni, tutt'al più gli adulti festeggiano Gesù
Bambino, ma difficilmente ci si aspetta qualcosa dalla Befana se
non qualche dolcetto destinato ai più piccoli, pertanto quando verso le
dodici e un quarto ho guardato fuori dalla finestra della cucina io
(Etta) sono rimasta di stucco vedendo
proprio una vera calza
piena di qualcosa, forse caramelle; al rientro Pippo, interrogato da me
si è detto proprio convinto che era passata la Befana in persona e aveva
lasciato la calza...
Poco importa mi sono detta, vediamo piuttosto il contenuto
un elegante pacchetto e al
suo interno finalmente il dono
il gufo dotto che andrà ad
arricchire la nostra collezione.