giovedì 31 gennaio 2013

Elogio della dolcezza

I miei primi muffins





Poichè tra i regali di Natale avevo acquistato lo stampo in silicone, ho voluto finalmente provarlo e per l'occasione ho scelto la ricetta dei muffins ricotta e limone





Li ho poi decorati con una glassa di zucchero a velo e succo di limone e cosparsi di zucchero e cacao






e infine un chicco di caffè ricoperto di cioccolato.


Per chi  volesse provarli ecco la ricetta scaricata da FB

 
INGREDIENTI

250 g. di farina

125 g. di zucchero

70 g. di burro fuso

100 g. di ricotta

70 g. di latte

il succo di un limone

mezza bustina di lievito per dolci

2 uova


PER LA GLASSA/SCIROPPO

il succo di un limone

zucchero a velo

acqua

Mettete in una ciotola la farina;aggiungete lo zucchero e il lievito.

Unite le 2 uova,il burro fuso e freddo,il latte e la ricotta,quindi mescolate. Da ultimo aggiungete il succo di limone.

Versate l'impasto a cucchiaiate,negli stampini per muffins e cuocete a 180° in forno preriscaldato per 12 minuti.

Per la glassa,mischiate il succo del limone con un po’ di zucchero a velo e aggiungete acqua sufficiente ad ottenere una crema morbida e spalmabile semitrasparente.

Glassate i muffins: la glassa sciroppo penetrerà nei muffins lasciando uno strato croccante e trasparente. Spolverate di zucchero a velo.

Il film della vita




Molto nota e molto profonda, voglio riproporla qui.

domenica 27 gennaio 2013

Lunario mese di Gennaio

Ricorrenze



27/1



 Morte di Giuseppe Verdi



foto di P. Panni



Il 27 gennaio 1901 moriva a Milano il grande compositore italiano Giuseppe Verdi, nato a Le Roncole di Busseto il 10 ottobre 1813, pertanto si celebra quest'anno il bicentenario della nascita.

qui il 27 gennaio 2012 ho parlato dei funerali che la città di Milano dedicò al Maestro, ora vorrei descrivere per immagini il doveroso "omaggio" che Pippo gli ha tributato in quel di Busseto dove lui dice di ricaricarsi nel luogo in cui tutto parla di Verdi e dove i ritmi di vita sono piacevolmente rallentati.





Siamo partiti da casa verso le 11 di sabato, ad una distanza di 25 Km, siamo arrivati in meno di mezz'ora.
Naturalmente non è la prima volta che ci rechiamo a Busseto, ma  questa volta ci siamo un po' allontanati dal centro





per vedere Villa Pallavicino (Museo Verdiano) e la Chiesa di S. Maria degli Angeli.





Villa Pallavicino




lo scenografico ingresso




un angolo romantico del parco


 

 
 la facciata della Villa Pallavicino che ospita il Museo Giuseppe Verdi




la facciata della chiesa tardogotica di S. Maria degli Angeli (1470/1474)




all'interno il gruppo in terracotta policroma del Compianto sul Cristo Morto di Guido Mazzoni (1476/1477). Le due figure maschili ai lati sarebbero i ritratti dei due figli di Pallavicino, marchesi di Busseto, fondatori del Convento di S. Maria degli Angeli.




forse  non è fine ma andando in ordine cronologico, alle 12.30 sostiamo alla pizzOsteria Orlandi di via Roma e gustiamo degli eccezionali "pisarei e fasò"




Palazzo Barezzi dove si può vedere il Salone della Filarmonica Bussetana.




siamo di nuovo in piazza Verdi dove affaccia la Collegiata di S. Bartolomeo






 
 la Rocca Pallavicino - Municipio e il monumento al "Cigno" di Busseto.





Prima delle 15 siamo di nuovo a casa, soddisfatti e con la mente leggera.
 
 


 
   

giovedì 24 gennaio 2013

I nostri canarini

Aggiornamento






ne avevamo parlato l'ultima volta forse la scorsa estate, si tratta sempre della coppia originale e dei tre figli nati nella primavera scorsa.

Fortunatamente di indole tranquilla solo raramente sorgono motivi di litigio in gabbia nonostante siano tre maschi e due femmine, tanto che finora hanno vissuto tutti insieme.






si avvicina però il periodo in cui i canarini cominciano a costruire il nido e già le prime avvisaglie ci sono, molto probabilmente bisognerà prepararsi a formare le  coppie e predisporre le gabbie per le nuove cove.










tutto avviene sotto l'occhio vigile della coppia di tortore che ormai abbiamo stabilmente adottato.




 
 

sabato 19 gennaio 2013

Diario di viaggio d'altri tempi






Tunisia   

28.12.1975 DOMENICA.

La sveglia è molto prima del previsto a 20' alle 6.00; ci prepariamo in fretta, ma perdiamo moltissimo tempo ad aspettare la colazione e alla fine mangiamo il pane imburrato con le mani sul pullman.
Siamo una comitiva di 35 persone di cui solo 4 italiane, di fianco a noi c’è una giovane coppia di Marsiglia, davanti una signora e una signorina di Massa.
Ripercorriamo la stessa strada di ieri ripassando per Enfideville mentre si sta svolgendo un animato mercato.
La guida, la stessa del giorno precedente, ci dà alcune notizie di carattere economico e geografico: 1/5 delle terre tunisine sono incolte ci sono 1300 km di litorale e la temperatura estiva raggiunge anche i 35°. Tutti i territori sono privati in quanto dopo la nazionalizzazione del ’56 sono stati restituiti agli antichi proprietari; lo stato ne appalta la coltivazione.
Mano a mano che si procede ci capita di vedere coltivazioni di ulivi e di fichi d’India, spesso notiamo agglomerati di case tutte uguali, basse, costruite dallo Stato e destinate ai nomadi, i quali però si rifiutano di abitarle preferendo la solita vita che conducono da secoli.
Spesso vediamo villaggi di berberi e tende di nomadi seminascoste nei terreni stepposi; ogni tanto il pullman si arresta o frena bruscamente per evitare greggi di pecore o cammelli.
La nostra guida continua a darci notizie di vario genere; ci dice che la lingua ufficiale è l’arabo: una fra le più difficili (45.000 voci contro le 20 – 25.000 delle lingue europee) e ce ne dà un saggio scrivendo i nostri nomi procedendo da destra verso sinistra; l’arabo viene studiato a scuola per ben 13 anni e così pure viene studiato il francese (molto letterale però), il tunisino è invece una sorta di dialetto che risente di varie influenze anche andaluse, turche e berbere, ma non arabe.
Fra la popolazione si annoverano circa 30.000 nomadi, che vivono in agglomerati, costituiti da beduini di origine araba, montanari e berberi, dagli abiti colorati.
Le donne berbere non portano velo e sono tatuate sulla fronte e sulle mani, così pure gli uomini.
Il tatuaggio fatto col coltello, indicava la tribù di appartenenza e si usava per le donne come segno di riconoscimento quando si recavano alla fonte. Ora non è più necessario ma l’usanza è rimasta e le donne continuano a farsi tatuare, tranne poi spendere capitali per eliminare il tatuaggio.
Ci fermiamo ad un motel per ristorarci ma i 10 minuti di sosta sono solo sufficienti per la coda al gabinetto e non mi rimane tempo per prendere qualcosa.
Si riprende il viaggio fra distese di steppa incolta e di nessuno, dove affiora uno strato biancastro di sale; qui è il regno di animali quali: gazzelle, iene, sciacalli, serpenti, scorpioni.
Passiamo la città di Gafsa, città berbera con i suoi minareti che portano tutti sulla cima i 3 simboli: acqua, farina, sale, con cui si fa il pane, ad indicare l’ospitalità tunisina.
Ormai ci stiamo addentrando sempre più nel deserto, la strada si fa molto polverosa; abbiamo occasione di attraversare 2 o 3 grandi letti di torrenti completamente asciutti. Fiancheggiamo un grosso centro per lo sfruttamento di miniere di fosfati, oggetto di importante esportazione.
Verso le 13 arriviamo a Tozeur, una ricchissima oasi artificiale, divenuta anche centro turistico di notevole importanza, poiché tutti gli europei hanno qui l’incontro con l’Africa del deserto.





 
Alle 13.30 siamo nella sala da pranzo dell’hotel Continental mentre il nostro bagaglio è ancora nella hall. Con noi ci sono le altre due italiane.
Beviamo vino bianco, mentre assaporiamo il menù che si rivela non molto buono: con insalata russa
senza maionese, carne molto dura (1 guida, purtroppo non la nostra mi dice essere di cammello) con patate lesse e fondi di carciofi e datteri.
Con una velocità supersonica impostaci da quel pazzo furioso che è la nostra guida alle 14.30 ci ritroviamo di nuovo sul pullman. Mentre stiamo per ripartire alcuni venditori rifilano ad alcuni turisti i tipici copricapi bianchi arabi e li montano in testa in 4 e quattr’otto per 1 dinaro.
Siamo diretti a Nefta, una delle più belle oasi del Nord Africa ricca di 220.000 palme da datteri.
Tutte le oasi sono artificiali, alcune molto vaste, altre meno, sorgono quando l’uomo scoperta la sorgente, vi pianta i palmizi tutt’attorno.
Ci stiamo inoltrando nel deserto, la strada è polverosa più che mai, da una parte e dall’altra solo distesa di sabbia interrotta da ciuffi di fiori lilla; spesso all’orizzonte si vedono le belle sagome dei dromedari e dei cammelli. Ad un certo punto la guida ci invita a togliere le scarpe (io e A. ci rifiutiamo), dobbiamo infatti addentrarci un po’ nel deserto; scendiamo leggermente dal livello della strada e all’orizzonte abbiamo la fortuna di vedere un miraggio, (uno specchio d’acqua azzurro che in realtà non esiste, ma non sono molto sicura che non esista).
All’arrivo a Nefta (24 km. da Tozeur) siamo accolti dagli ultimi suoni di una danza ormai finita; i beduini, artisti locali, ormai si stanno cambiando.
Da un punto particolarmente panoramico osserviamo l’oasi irrigata da ben 152 sorgenti; è una distesa bellissima di verdi palmizi degradanti che contrastano con l’azzurro intenso del cielo e il caldo colore dorato del terreno e delle colline circostanti.
Sulla via del rientro a Tozeur ci imbattiamo in un rumoroso e colorato corteo nuziale dove manca però la sposa ancora in casa.



A Tozeur, prima del rientro definitivo in albergo ci aspetta una nuova, emozionante avventura: cavalchiamo il cammello. Mentre ancora sto decidendo se è il caso di salire in groppa o no, uno dei cammellieri mi invita imperiosamente a salire e nel giro di un secondo mi ritrovo sul cammello; dopo l’attimo crucialissimo in cui l’animale si alza prima sulle zampe anteriori, e mi sento sbalzar via, poi posteriori, sono estremamente imponente dall’alto dei miei 2,50 m. d’altezza e molto tranquilla, solo un po’ stupita di esser completamente nelle mani di un piccolissimo ragazzo che guida il mio chiaro e lanoso animale.
L’itinerario è bellissimo; un favoloso sentiero fra alti palmizi all’ora fresca del tramonto; il movimento cadenzato del cammello (prima le zampe sinistre poi le destre) è molto rilassante, a parte il mal di sedere, e la carovana che formiamo, molto numerosa, è molto piacevole a vedersi (io poi occupo sempre le primissime posizioni).
Dopo circa mezz’ora raggiungiamo il Belvedere da cui la vista spazia magnifica sulle palme, sulle colline e su Tozeur, sotto di noi ci sono i cammelli accovacciati e dietro, un tramonto favoloso, africano.
Ci mettiamo in cammino l’aria è più fresca, il tramonto alle mie spalle mi assorbe completamente, sto vivendo un’esperienza favolosa, solo interrotta dalle frasi di interessamento dei ragazzi locali che mi si rivolgono in francese (comment ça va!).
L’atmosfera magica viene però rotta dal mio piccolo cammelliere che mi ordina: “Donne-moi quelque chose”; ignorando i miei propositi gli lascio 200 mill e con A. faccio ritorno in albergo.
Rapido ristoro in camera e cena non molto soddisfacente con consommé di primo.
Dopo cena ci concediamo un po’ di riposo al bar dell’albergo. Chiediamo il tè alla menta, ma non c’è, ci accontentiamo di un caffè lungo, lungo.
Qui incontriamo una giovane guida del posto che ci invita a vedere un locale caratteristico dove si può sentire musica tunisina ed eventualmente ballare.
Io sarei molto stanca, la ns/ giornata non è stata certo molto riposante, ma cedo alle insistenze, a noi si aggrega un altro ragazzo.
Il bar è caratteristico e annesso vi è un bazar dove A. fa qualche acquisto.
La  musica è molto piacevole e molti turisti italiani la applaudono, solo mi fa molto ridere vedere gli uomini, fra cui anche i nostri accompagnatori, che ballano sculettando senza ritegno.
Mentre A. assaggia uno strano intruglio di albume, menta e acquavite e non perde tempo con la guida, io, con l’insegnante di francese, ragazzo abbastanza interessante e promesso sposo a settembre, vado a comprare all’alba delle 22.30 una rosa del deserto.
Alle 23.30 riaccompagnate da questi due simpatici ragazzi tunisini rientriamo in albergo e per quanto mi riguarda sono completamente imbastita.










continua...




venerdì 18 gennaio 2013

Lunario mese di Gennaio

Santi e Ricorrenze



19/1


San Bassiano (o Bassano) Vescovo





 
Patronato: Lodi
Emblema: Bastone Pastorale




Nato a Siracusa verso il 320 e figlio del prefetto della città, venne mandato a Roma per completare gli studì. A Roma si convertì al cristianesimo e fu battezzato. Richiamato dal padre evitò di rientrare nella sua città e si rifugiò a Ravenna dove divenne sacerdote.

Nel 373 a seguito di un evento soprannaturale, succedette al vescovo di Lodi, dove, insediatosi, fece costruire una chiesa dedicata ai SS. Apostoli  consacrata nel 380 alla presenza di S. Ambrogio e S. Felice di Como. Successivamente la chiesa sarà dedicata a S. Bassiano.

Nel 397 assisté alla morte e ai funerali di S. Ambrogio di cui fu amico. Morì nel 409 e fu sepolto nella sua cattedrale. Dal 1158 al 1163 le sue reliquie furono portate a Milano in coincidenza con la distruzione di Lodi da parte dei Milanesi; nel 1163 ritornarono nella sistemazione originaria grazie all'aiuto offerto ai Lodigiani dall'Imperatore Federico Barbarossa.


dal web





 dal web


La distruzione di Lodi del 1158 provoca l'allontanamento di parte di cittadini che si stabiliscono nel territorio cremonese essendo Cremona fedele all'imperatore e alleata contro Milano. E così si spiega la dedicazione a S. Bassiano della parrocchiale di Pizzighettone, borgo murato sull'Adda, nelle vicinanze del lodigiano e la chiesa di San Bassano a Cremona già esistente nel XII secolo.





Cremona  chiesa di S. Bassano facciata (dal web)



 
interno (dal web)



mercoledì 16 gennaio 2013

lunario mese di Gennaio

Ricorrenze



16/1




Muore Amilcare Ponchielli







Morì nel 1886 a soli 51 anni a Milano; era nato in provincia di Cremona a Paderno che successivamente prese il nome di Paderno Ponchielli, il 31 agosto 1834 da una famiglia modesta.
Ponchielli è universalmente conosciuto solo per la sua opera più famosa, La Gioconda, ma compose per 30 anni esatti dai Promessi Sposi del 1856 fino ai Mori di Valenza, incompiuta, rappresentata a Montecarlo nel 1914.


Il Coro Lirico Ponchielli - Vertova proprio per onorare il grande compositore cremonese ha recentemente effettuato le registrazioni delle opere "I Mori di Valenza" e "Il Figliol Prodigo".



sabato 12 gennaio 2013

La musica dipinta

è il titolo di una mostra fotografica che ho visitato oggi





dal web




e che ha come sottotitolo "percorsi e suggestioni nell'arte cremonese"; allestita presso la galleria Il Triangolo di Cremona, iniziativa realizzata in concomitanza dell'evento "Cremona per l'Unesco".

Erano presenti l'autore delle fotografie Pietro Diotti e il maestro liutaio Riccardo Bergonzi; il primo ha illustrato il lavoro di scelta dei particolari fotografati e gli artifici usati per riprendere i soggetti delle volte e delle opere conservate nel Museo Civico Ala Ponzone, nelle chiese di S. Sigismondo, Sant'Abbondio e San Pietro al Po. 

Bergonzi si è occupato degli strumenti musicali ed in particolare dei violini e della evoluzione nel tempo della tecnica di costruzione.

Il violino sarebbe di origine araba e le "C"antesignane delle "effe" rappresenterebbero la mezzaluna.



dal web



Del quadro del Rinaldi (1896), conservato al Museo, che rappresenta la bottega di Antonio Stradivari, il fotografo con una serie di particolari ha reso prezioso omaggio alla liuteria cremonese creando un collage che esalta il dipinto originale ed evidenzia aspetti che difficilmente vengono colti. Particolarmente pregevole la rappresentazione della facciata della demolita chiesa di San Domenico che si vede dalla finestra della bottega.
 
 




venerdì 11 gennaio 2013

Lunario mese di gennaio

Santi e Ricorrenze



13/1



Sant'Ilario Vescovo e Dottore della Chiesa






 dal sito Santi e Beati






Etimologia= gaio, allegro dal latino

Emblema = Bastone Pastorale





Ilario, nasce a Poitiers in Aquitania, Francia, attorno al 315 da nobile famiglia pagana. Egli volendo ricercare il senso della vita dapprima si dedicò alla dottrina filosofica neoplatonica e successivamente si convertì al cristianesimo avendo trovato nella Bibbia e in particolare nel Vangelo di Giovanni ciò che andava cercando.
Sposato e padre di una figlia, Abra, subito dopo il battesimo fu fatto Vescovo della sua città e con il suo esempio favorì la conversione di S. Martino di Tours che abbandonò l'esercito imperiale.

Combattè l'eresia ariana e sostenne il credo niceno nelle sue opere fra le quali il capolavoro in dodici libri  "De Trinitate" scritte in particolare durante l'esilio in Frigia cui fu condannato per 6 anni da Costanzo, figlio di Costantino.

Egli per 2 anni combattè l'arianesimo anche in Italia assieme a S. Eusebio di Vercelli. Tornato in Francia dedicò gli ultimi anni della sua vita agli studi prediletti e al commento dei salmi. Morì il primo novembre 367. Le reliquie vennero bruciate dagli Ugonotti nel 1562. Il papa Pio IX lo proclamò Dottore della Chiesa nel 1851.






S. Ilario a Cremona







 dal web
 

Di una chiesa dedicata a S. Ilario si hanno notizie fin dal 1137 quando il vescovo Oberto donò dei terreni nella "città nova", all'esterno delle mura romane, allo scopo di edificare una chiesa e la dedicazione a S. Ilario, definito "il martello degli eretici" sta a significare la volontà del Vescovo di difendere l'ortodossia della Chiesa in questa parte marginale della città.

L'edificio medievale era orientato secondo la consuetudine con la facciata rivolta a ponente; nel 1714 un benefattore, Francesco Ferrari, lasciò tutti i suoi bene per la ricostruzione della chiesa secondo lo stile del tempo; sicchè è l'unica chiesa in città di stile barocchetto teresiano, ma la costruzione si interruppe nel 1766 e la chiesa, orientata in senso opposto alla primitiva,  presenta tuttora la facciata incompleta.

Nel 1805 con la soppressione napoleonica di varie chiese limitrofe si ha la costituzione della nuova parrocchia, mentre nel 1867 vi è la ridedicazione della chiesa ai Santi Apollinare ed Ilario anche se per i cremonesi è tuttora la chiesa di S. Ilario.




 dal web


Diario di viaggio d'altri tempi

Tunisia 








27.12.1975 sabato

Mi sveglio di buon mattino a causa del caldo e del terribile rumore del condizionatore, ma non oso alzarmi per non disturbare A.
La giornata è splendida e posso starmene tranquillamente sul balcone a scrivere una lettera (per usare la carta intestata dell’albergo) a casa.
Colazione di buon’ora a base di tè, burro, marmellata di albicocche, casalinga e spessa, pane e fetta di torta.
Dopo lunga attesa dell’animatrice locale, decidiamo di iscriverci all’escursione di Kairouan nel pomeriggio, a quella nelle oasi, che ci sta molto a cuore, per il giorno seguente e ad una terza che ha come meta Tunisi.
Alle 10 passate cominciamo una ricognizione dell’albergo. In una bellissima posizione, proprio sul mare, sorge in mezzo a palme, aranceti, carichi di frutta; qui si possono vedere alberi da frutta e fiori fra cui grandi stelle di Natale fiorite.
Aggiriamo la piscina e il solarium e scendiamo in spiaggia. Cominciamo a camminare lungo un mare bellissimo e calmo in direzione della cittadella di Hammamet.










 Percorrono la spiaggia anche cammelli, somari e cavalli; il sole è molto caldo, qualcuno, audace, è in costume.
Ad un tratto una scena mi colpisce molto: ci si avvicina un bimbetto con un’arancia in mano; ce la vuole offrire a tutti i costi. A. finisce per prenderla ed è allora che il piccolo pretende soldi tunisini, ma noi non ne abbiamo perché dobbiamo ancora cambiare; dapprima rifiuta le 100 lit perché vuole 100 milles tunisini poi si “accontenta “ di 200 lit, ma A. preferisce restituire il frutto.
Il litorale è piuttosto bello e molto lungo, lo delimita una fascia verde di palmizi da cui spiccano numerose costruzioni candide che ospitano modernissimi alberghi; all’estremità c’è il limite della Medina di Hammamet.
Prima di rientrare due ragazzini, play boys in erba, cercano di attaccar bottone rivolgendoci mille frasi in altrettante lingue.
Pranzo verso le 12.15, causa prossima partenza. Al nostro tavolo si è aggiunta la sesta (sic!!!!) donna: l’accompagnatrice del nostro gruppo.
Pranzo: beviamo ottimo vino bianco!
I il dito di Fatima (ripieno di carne trita rivestito di pasta sfoglia)
II pollo condito con olio vergine e dal sapore strano, con patate.
III Patisserie pyramide (fetta di torta con copertura di cioccolato).





 Ore 13.30 partenza per Kairouan, noi arriviamo in ritardo al pullman e per un pelo non ci lasciano giù. La guida locale ci dà alcune notizie sulla città che stiamo per vedere. La nostra guida non conosce l’italiano ed allora un volonteroso compatriota gli fa da interprete.
  • Kairouan è l’antica capitale tunisina ed è la IV città mussulmana dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme. La città conta più di 100 moschee molte delle quali ormai usate solo come scuole coraniche per giovani e come sedi di università; si trova proprio al centro della zona stepposa.
Ci vengono date alcune notizie molto interessanti sulla religione musulmana.

La strada che percorriamo è fiancheggiata da una fila continua di fichi d’India, alcuni dei quali piantati da poco. Passiamo da Enfideville, città costruita per i coloni francesi e italiani con una chiesa cattolica ora sconsacrata e sede di museo. I campi a volte sono seminati di recente, più spesso sono incolti, di frequente capita di vedere greggi di pecore con giovani pastorelli e uomini coi loro mantelli scuri a dorso di mulo.
Arriviamo a Kairouan, antica capitale, circondata da mura bizantine nel cuore della steppa tunisina; c’è un’aria abbastanza freddina. Ci incamminiamo verso le vie interne per vedere la Moschea grande.
Prima di entrare la guida indossa il caratteristico mantello in lana bianca; gli chiediamo se lo fa perché sta per entrare in una moschea, ci risponde semplicemente che lo indossa perché fa freddino; ne deduco che questo mantello sostituisce il cappotto europeo.
Entriamo nel vasto cortile della moschea. Soltanto dall’esterno possiamo vedere la grande sala di preghiera, ricca di bei tappeti e l’alto e bel Minareto; infatti condizione perché esista una moschea è che ci sia:
il Minareto
la sala di preghiera
i lavabi per le abluzioni.


Successivamente diamo un’occhiata al cimitero arabo con le tombe bianche tutte uguali e senza fiori ed entriamo nella Medina; ne percorriamo, sole, la strada principale, frequentatissima di gente travestita al solito modo che ci fa abbastanza tremare.
I vari bazar straripano di souvenirs per i turisti e accanto ad essi ci sono le botteghine piccolissime del macellaio con i pochi pezzi di carne in bella vista e la bilancia a 2 piatti antidiluviana, il fruttivendolo, il ciabattino ecc.
Entriamo in un negozio dove ci mostrano la lavorazione dei famosi tappeti di Kairouan dai disegni classici e di nuovo torniamo al pullman.
Sosta davanti ad un mausoleo dei martiri di guerra che mi piace molto, forse perché illuminato dal sole, e alla Moschea del Barbiere eretta nel luogo ove sorgeva la tomba dell’amico di Maometto che ne conservava 3 peli della barba. Di non molto grandi dimensioni, si tratta di un piccolo gioiello. Per entrare nel bel cortile si passa attraverso un ingresso ornato di ceramiche e con la cupola ricca di fregi in stile arabo-andaluso. Alcuni presenti richiamano l’analogia con l’Alhambra di Granada.
Anche il cortile è ornato con le meravigliose ceramiche di Nabeul, ex-voto delle ragazze locali.
L’ingresso alla sala di preghiera è vietato in Tunisia; vediamo dall’esterno donne sedute (le scarpe sono fuori); in una nicchia sede della tomba di un santone locale, 2 donne vestite di bianco, sedute, meditano e una di esse contemporaneamente al vederci, se la ride sotto il velo.
La visita alla città è finita, nell’allontanarci vediamo i bacini (130 nei dintorni) per l’irrigazione di questa città che conta 90.000 abitanti.
Dal pullman assistiamo ad un favoloso tramonto africano e a 2 migrazioni di anitre selvagge in grande e strabiliante formazione.
Costeggiamo uno “Sciott”, lago salato, ripassiamo per Enfideville e verso le 7 siamo in albergo. Ceniamo scegliendo le specialità tunisine che ci propone il menù, prendiamo il caffè (molto lungo) al bar e ci ritiriamo abbastanza presto nella nostra camera accogliente: l’indomani ci aspetta una levataccia.










continua...








martedì 8 gennaio 2013

lunario mese di Gennaio

Santi e Ricorrenze



10/1



S. Aldo Eremita 







dal sito Santi e Beati


 



Etimologia: vecchio, inteso come esperto, saggio dal longobardo.




Di S. Aldo, pur essendo assai popolare nell'Italia settentrionale, non si conosce la data di nascita o l'epoca in cui visse, presumibilmente attorno all'VIII secolo, ma secondo la tradizione fu eremita e carbonaio nei pressi della città di Pavia.

L'origine longobarda del suo nome fa supporre che anch'egli fosse longobardo, considerato anche che la città di Pavia dove se ne conserva la memoria, fu capitale longobarda. Egli giunse forse al seguito di S. Colombano, irlandese, fondatore del Monastero di Bobbio  e ne seguì la regola che prevedeva un'alternanza di ore dedicate alla preghiera e altre al lavoro che nel caso di S. Aldo fu quello del carbonaio.

Alla morte fu sepolto a Pavia nella cappella di S. Colombano prima e successivamente in S. Michele.







Auguri a tutti quelli che si chiamano Aldo, Alda, Aldino e Aldina.

Mondo Tombolo








Oggi ricorre il 2° anniversario del mio blog dedicato al tombolo e ad altre attività manuali; in questi due anni ho conosciuto tantissime appassionate di merletto e di lavori femminili e ho avuto occasione di stringere amicizie che da virtuali sono divenute effettive.

Tante persone mi seguono al punto che presto arriverà il traguardo del considerevole numero di centomila visite.

Ringrazio di vero cuore tutti per l' affettuoso seguito che per me è un incentivo a continuare a ricercare, migliorare e attuare nuovi progetti e nuovi lavori.

Grazie e lunga vita al blog del tombolo!

domenica 6 gennaio 2013

Una befana inaspettata



Nella nostra zona è Santa Lucia la portatrice dei doni, tutt'al più gli adulti festeggiano Gesù Bambino, ma difficilmente ci si aspetta qualcosa dalla Befana  se non qualche dolcetto destinato ai più piccoli, pertanto quando verso le dodici e un quarto ho guardato fuori dalla finestra della cucina io (Etta) sono rimasta di stucco vedendo





 proprio una vera calza piena di qualcosa, forse caramelle; al rientro Pippo, interrogato da me si è detto proprio convinto che era passata la Befana in persona e aveva lasciato la calza...
Poco importa mi sono detta, vediamo piuttosto il contenuto







un elegante pacchetto e al suo interno finalmente il dono
  






 il gufo dotto che andrà ad arricchire la nostra collezione.

Grazie BEFANA!