sabato 19 gennaio 2013

Diario di viaggio d'altri tempi






Tunisia   

28.12.1975 DOMENICA.

La sveglia è molto prima del previsto a 20' alle 6.00; ci prepariamo in fretta, ma perdiamo moltissimo tempo ad aspettare la colazione e alla fine mangiamo il pane imburrato con le mani sul pullman.
Siamo una comitiva di 35 persone di cui solo 4 italiane, di fianco a noi c’è una giovane coppia di Marsiglia, davanti una signora e una signorina di Massa.
Ripercorriamo la stessa strada di ieri ripassando per Enfideville mentre si sta svolgendo un animato mercato.
La guida, la stessa del giorno precedente, ci dà alcune notizie di carattere economico e geografico: 1/5 delle terre tunisine sono incolte ci sono 1300 km di litorale e la temperatura estiva raggiunge anche i 35°. Tutti i territori sono privati in quanto dopo la nazionalizzazione del ’56 sono stati restituiti agli antichi proprietari; lo stato ne appalta la coltivazione.
Mano a mano che si procede ci capita di vedere coltivazioni di ulivi e di fichi d’India, spesso notiamo agglomerati di case tutte uguali, basse, costruite dallo Stato e destinate ai nomadi, i quali però si rifiutano di abitarle preferendo la solita vita che conducono da secoli.
Spesso vediamo villaggi di berberi e tende di nomadi seminascoste nei terreni stepposi; ogni tanto il pullman si arresta o frena bruscamente per evitare greggi di pecore o cammelli.
La nostra guida continua a darci notizie di vario genere; ci dice che la lingua ufficiale è l’arabo: una fra le più difficili (45.000 voci contro le 20 – 25.000 delle lingue europee) e ce ne dà un saggio scrivendo i nostri nomi procedendo da destra verso sinistra; l’arabo viene studiato a scuola per ben 13 anni e così pure viene studiato il francese (molto letterale però), il tunisino è invece una sorta di dialetto che risente di varie influenze anche andaluse, turche e berbere, ma non arabe.
Fra la popolazione si annoverano circa 30.000 nomadi, che vivono in agglomerati, costituiti da beduini di origine araba, montanari e berberi, dagli abiti colorati.
Le donne berbere non portano velo e sono tatuate sulla fronte e sulle mani, così pure gli uomini.
Il tatuaggio fatto col coltello, indicava la tribù di appartenenza e si usava per le donne come segno di riconoscimento quando si recavano alla fonte. Ora non è più necessario ma l’usanza è rimasta e le donne continuano a farsi tatuare, tranne poi spendere capitali per eliminare il tatuaggio.
Ci fermiamo ad un motel per ristorarci ma i 10 minuti di sosta sono solo sufficienti per la coda al gabinetto e non mi rimane tempo per prendere qualcosa.
Si riprende il viaggio fra distese di steppa incolta e di nessuno, dove affiora uno strato biancastro di sale; qui è il regno di animali quali: gazzelle, iene, sciacalli, serpenti, scorpioni.
Passiamo la città di Gafsa, città berbera con i suoi minareti che portano tutti sulla cima i 3 simboli: acqua, farina, sale, con cui si fa il pane, ad indicare l’ospitalità tunisina.
Ormai ci stiamo addentrando sempre più nel deserto, la strada si fa molto polverosa; abbiamo occasione di attraversare 2 o 3 grandi letti di torrenti completamente asciutti. Fiancheggiamo un grosso centro per lo sfruttamento di miniere di fosfati, oggetto di importante esportazione.
Verso le 13 arriviamo a Tozeur, una ricchissima oasi artificiale, divenuta anche centro turistico di notevole importanza, poiché tutti gli europei hanno qui l’incontro con l’Africa del deserto.





 
Alle 13.30 siamo nella sala da pranzo dell’hotel Continental mentre il nostro bagaglio è ancora nella hall. Con noi ci sono le altre due italiane.
Beviamo vino bianco, mentre assaporiamo il menù che si rivela non molto buono: con insalata russa
senza maionese, carne molto dura (1 guida, purtroppo non la nostra mi dice essere di cammello) con patate lesse e fondi di carciofi e datteri.
Con una velocità supersonica impostaci da quel pazzo furioso che è la nostra guida alle 14.30 ci ritroviamo di nuovo sul pullman. Mentre stiamo per ripartire alcuni venditori rifilano ad alcuni turisti i tipici copricapi bianchi arabi e li montano in testa in 4 e quattr’otto per 1 dinaro.
Siamo diretti a Nefta, una delle più belle oasi del Nord Africa ricca di 220.000 palme da datteri.
Tutte le oasi sono artificiali, alcune molto vaste, altre meno, sorgono quando l’uomo scoperta la sorgente, vi pianta i palmizi tutt’attorno.
Ci stiamo inoltrando nel deserto, la strada è polverosa più che mai, da una parte e dall’altra solo distesa di sabbia interrotta da ciuffi di fiori lilla; spesso all’orizzonte si vedono le belle sagome dei dromedari e dei cammelli. Ad un certo punto la guida ci invita a togliere le scarpe (io e A. ci rifiutiamo), dobbiamo infatti addentrarci un po’ nel deserto; scendiamo leggermente dal livello della strada e all’orizzonte abbiamo la fortuna di vedere un miraggio, (uno specchio d’acqua azzurro che in realtà non esiste, ma non sono molto sicura che non esista).
All’arrivo a Nefta (24 km. da Tozeur) siamo accolti dagli ultimi suoni di una danza ormai finita; i beduini, artisti locali, ormai si stanno cambiando.
Da un punto particolarmente panoramico osserviamo l’oasi irrigata da ben 152 sorgenti; è una distesa bellissima di verdi palmizi degradanti che contrastano con l’azzurro intenso del cielo e il caldo colore dorato del terreno e delle colline circostanti.
Sulla via del rientro a Tozeur ci imbattiamo in un rumoroso e colorato corteo nuziale dove manca però la sposa ancora in casa.



A Tozeur, prima del rientro definitivo in albergo ci aspetta una nuova, emozionante avventura: cavalchiamo il cammello. Mentre ancora sto decidendo se è il caso di salire in groppa o no, uno dei cammellieri mi invita imperiosamente a salire e nel giro di un secondo mi ritrovo sul cammello; dopo l’attimo crucialissimo in cui l’animale si alza prima sulle zampe anteriori, e mi sento sbalzar via, poi posteriori, sono estremamente imponente dall’alto dei miei 2,50 m. d’altezza e molto tranquilla, solo un po’ stupita di esser completamente nelle mani di un piccolissimo ragazzo che guida il mio chiaro e lanoso animale.
L’itinerario è bellissimo; un favoloso sentiero fra alti palmizi all’ora fresca del tramonto; il movimento cadenzato del cammello (prima le zampe sinistre poi le destre) è molto rilassante, a parte il mal di sedere, e la carovana che formiamo, molto numerosa, è molto piacevole a vedersi (io poi occupo sempre le primissime posizioni).
Dopo circa mezz’ora raggiungiamo il Belvedere da cui la vista spazia magnifica sulle palme, sulle colline e su Tozeur, sotto di noi ci sono i cammelli accovacciati e dietro, un tramonto favoloso, africano.
Ci mettiamo in cammino l’aria è più fresca, il tramonto alle mie spalle mi assorbe completamente, sto vivendo un’esperienza favolosa, solo interrotta dalle frasi di interessamento dei ragazzi locali che mi si rivolgono in francese (comment ça va!).
L’atmosfera magica viene però rotta dal mio piccolo cammelliere che mi ordina: “Donne-moi quelque chose”; ignorando i miei propositi gli lascio 200 mill e con A. faccio ritorno in albergo.
Rapido ristoro in camera e cena non molto soddisfacente con consommé di primo.
Dopo cena ci concediamo un po’ di riposo al bar dell’albergo. Chiediamo il tè alla menta, ma non c’è, ci accontentiamo di un caffè lungo, lungo.
Qui incontriamo una giovane guida del posto che ci invita a vedere un locale caratteristico dove si può sentire musica tunisina ed eventualmente ballare.
Io sarei molto stanca, la ns/ giornata non è stata certo molto riposante, ma cedo alle insistenze, a noi si aggrega un altro ragazzo.
Il bar è caratteristico e annesso vi è un bazar dove A. fa qualche acquisto.
La  musica è molto piacevole e molti turisti italiani la applaudono, solo mi fa molto ridere vedere gli uomini, fra cui anche i nostri accompagnatori, che ballano sculettando senza ritegno.
Mentre A. assaggia uno strano intruglio di albume, menta e acquavite e non perde tempo con la guida, io, con l’insegnante di francese, ragazzo abbastanza interessante e promesso sposo a settembre, vado a comprare all’alba delle 22.30 una rosa del deserto.
Alle 23.30 riaccompagnate da questi due simpatici ragazzi tunisini rientriamo in albergo e per quanto mi riguarda sono completamente imbastita.










continua...




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